sabato 3 ottobre 2009

Il campo del Distretto 9

Dopo averne seguito gli sviluppi sin dal primo affascinante teaser fatto circolare sul web ed aver ricevuto tramite Facebook commenti assolutamente positivi da amici sparsi in giro per il mondo, finalmente qualche giorno fa sono andato a vedere "District 9". L'attesa è stata lunga, ma per fortuna non è stata delusa ed il film si è rivelato davvero innovativo ed interessante. Per introdurlo al meglio, bisogna innanzitutto dire che ad essere particolare non è solo la storia raccontata nel film, ma anche la storia del film in sè. Questa pellicola, infatti, è nata nel 2005 sotto forma di cortometraggio, intitolato "Alive in Joburg", che sono contento di aver trovato su YouTube, per presentartelo in versione integrale e originale, con grande formato ed alta qualità. Sebbene con le dovute differenze, in questo progetto il regista e autore Neil Blomkamp ha "seminato" tutti gli elementi che poi sarebbero "fioriti" nel lungometraggio, incontrando l'alto budget offerto dalla produzione di Peter Jackson. Forse anche grazie alle sue origini indipendenti, però, ad uscirne fuori non è stata la solita pellicola di fantascienza "blockbuster", ma un coacervo di pulsioni e stimoli diversi, un "melting pot" di tecniche e stili, un'iniezione di novità e idee brillanti.

Cinema: District 9

Appena il film ha inizio, si viene immediatamente catapultati all'interno della storia, senza troppi indugi e introduzioni. Sono passati 30 anni dall'arrivo sulla Terra di un'immensa astronave aliena e da quando gli extraterrestri al suo interno sono stati prima accolti con entusiasmo, poi rinchiusi in un campo profughi, che si è velocemente trasformato in un campo di concentramento: il "Distretto 9", uno slum invaso dalla spazzatura e dalla criminalità (umana). Sito a pochi passi da Johannesburg, il campo sta per essere spostato forzosamente lontano dai centri abitati, per limitare l'insofferenza e l'odio razziale dimostrati dagli umani. Lo spettatore vive questa esperienza seguendo le attività di Wikus Van De Merwe, l'addetto designato allo "sgombero". Il protagonista vedrà presto cambiare il suo punto di vista ed il suo rapporto con i "non umani", ribaltando completamente la prospettiva, trovandosi a vivere insieme a loro e a legare la sua stessa esistenza al futuro di questa specie così diversa. Perchè gli alieni, giunti sul nostro pianeta in condizioni di grave disagio e non si sa affatto per quale motivo, in realtà vorrebbero abbandonare la propria prigione e fare ritorno sulla loro astronave, per tornare nello spazio. Ma gli interessi economici dietro a questa sensazionale scoperta scientifica sono troppi per lasciare che partano, con le multinazionali che praticano disgustosi esperimenti sui "gamberoni" (così vengono chiamati gli alieni, in segno dispregiativo) e le loro attrezzature, specialmente quelle a fine bellico. La trama è avvincente, piena di citazioni (qualcuno ha detto "La mosca"?), colpi di scena e spettacolari sequenze d'azione, supportate da effetti speciali di primo livello. Specialmente l'astronave, che incombe sullo sfondo come un monito costante ed opprimente, il sensazionale "esoscheletro", che la fa da protagonista sul finale, e gli alieni, ben studiati a livello visivo ed assolutamente credibili nelle loro movenze, oltre che perfettamente integrati con l'ambiente circostante.



La parabola degli alieni può essere letta benissimo come una metafora delle problematiche molto attuali legate ai flussi migratori ed al razzismo. I non umani arrivano sul nostro pianeta sulla loro astronave, così come fanno nel mondo reale gli emigranti che partono dal sud del mondo nei "viaggi della disperazione", sui barconi, nei "doppi fondi" dei camion o a piedi. Sono stremati dalla fatica ed in cerca di accoglienza. E nella stessa maniera vengono tutti rinchiusi nei "campi di prima accoglienza" in stato di detenzione, per diventare reietti una volta che vengono "messi in libertà". La società li ghettizza e li esclude, senza permettere una qualsivoglia forma di integrazione fra le culture, arrivando a segregarli a livello formale in quanto diversi. Il fatto che la storia sia ambientata in Sud Africa, un paese segnato dal marchio di infamia dell'apartheid, è significativo. Perchè a Cape Town esisteva davvero un "District Six", un ghetto popolato da nativi africani e poi sgomberato con la forza. Ed è volutamente sottolineato come le popolazioni di colore, che hanno patito sulla propria pelle le sofferenze causate dal "razzismo di stato", si comportino con gli alieni nello stesso modo in cui l'uomo bianco faceva con loro. Un segno che l'essere umano non è capace di imparare dai propri errori ed ha sempre e comunque paura di quello che esce dai suoi ristretti schemi mentali.


A livello tecnico il film si dimostra davvero "fresco" e nuovo, diverso da quello che avevamo visto finora, grazie ad un attento mix di impulsi che arrivano da mondi diversi della comunicazione e dell'intrattenimento. Lo stile documentaristico con cui il film inizia e che compare di tanto in tanto nel corso della vicenda, serve a rendere più "credibile" lo scenario ed a farci entrare nello spirito della storia, andando a sostituire la "voce narrante fuoricampo". Ciò che succede in scena interagisce con la macchina da presa, condizionando lo sviluppo dell'azione e della visione, come il sangue e le budella che nelle scene più concitate schizzano improvvisamente verso lo schermo e gli restano appiccitati sopra. I movimenti della telecamera sono mossi e nervosi, con la camera quasi sempre "a spalla", a importare scelte e metodologie che ormai da anni spopolano in televisione e nel panorama dei serial. Il montaggio è vario, si adatta alle esigenze della narrazione, rallentando in alcuni momenti, per poi accellerare improvvisamente. Le scene d'azione sono coinvolgenti e dinamiche, raccontate e inquadrate come se fossimo catapultani nel bel mezzo delle spettacolari evoluzioni di un videogame di ultima generazione.
Tutti questi elementi, fra loro in apparenza così diversi e finora ritenuti inconciliabili, si fondono e si integrano alla perfezione in "District 9", dando vita ad un film davvero denso ed innovativo, che diventa il punto di partenza per un nuovo modo di concepire il cinema di fantascienza e crea uno scenario narrativo di immense potenzialità. Pur temendo fortemente un possibile sequel sul grande schermo, dato che il finale è decisamente aperto e un seguito potrebbe svilire una produzione dall'impatto così dirompente e "riformista", gli spunti di interesse sono davvero molti. Dalla pellicola potrebbero scaturire numerose iniziative parallele in altri media, come TV series o fumetti che esplorino cosa ha portato gli alieni sulla Terra o cosa è successo nel mondo e nel "Distretto 9" durante i trenta anni successivi al loro arrivo: piccole e grandi storie di umani e non umani che potrebbero creare un nuovo universo dell'immaginario tutto da esplorare.





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