sabato 29 marzo 2008

Anime in plexiglas (a fumetti)

Come sarebbe la nostra vita, se invece che nascere piccoli per poi invecchiare, il processo fosse inverso? Se, cioè, potessimo essere all'apice della nostra maturità interiore quando anche il nostro corpo ha raggiunto il massimo del suo splendore?

E' da questa condizione ipotetica che parte "La neve se ne frega", il romanzo di Luciano Ligabue che è stato recentemente adattato a fumetti da Matteo Casali & Giuseppe Camuncoli. I protagonisti della storia sono DiFo e Natura, una coppia di innamorati predestinata, che ringiovanisce col passare del tempo, così come tutti i loro simili. L'ambiente è quello di una società futuristica e distopica, in cui tutto è tenuto sotto un rigido controllo. Tutto è filtrato e già deciso, anche nelle scelte personali: quale sarà il lavoro, chi sarà la propria compagna, dove si andrà ad abitare, quanto e cosa si dovrà mangiare o possedere. La vita degli abitanti è regolata in tutto i suoi aspetti dal Piano Vidor, il modello di convivenza civile in vigore dal 2095, con i suoi diritti e i suoi doveri, etrambi categorici. Un mondo in apparenza perfetto, talmente tanto da sembrare finto. Ma... oltre le imposizioni, oltre la predeterminazione, oltre la plastica... è rimasto qualcosa che va al di là di qualsiasi forma di controllo. Al centro della vicenda c'è l'Amore, quello vero, il legame più profondo possibile, che supera qualsiasi limite e abbatte tutte le barriere. Quel sentimento capace anche di compiere miracoli.

La neve se ne frega, illustrazione di Gabriele Dell'Otto

L'idea avuta dal rocker emiliano è intrigante e la storia si sviluppa in maniera interessante e imprevedibile. Il lavoro di adattamento realizzato dagli autori di comics reggiani è ottimo. Sembra proprio che siano riusciti a stabilire il giusto feeling con l'opera originale, realizzando un lavoro di sintesi che rispetta i tempi del romanza adattandoli a quelli del media fumetto. Questa versione in letteratura disegnata, infatti, risulta sempre bilanciata, riesce a "mantenere il ritmo" e a rivelarsi una buona lettura, profonda e avvincente al tempo stesso. La sceneggiatura di Casali appassiona il lettore e si sviluppa in maniera fluida. I disegni di Camuncoli e la sua narrazione per immagini riescono a raccontare alla perfezione, adattandosi alle esigenze delle diverse atmosfere e situazioni. Così come i colori dello Studio Kmzero, capaci di scelte sempre azzeccate in quanto a fotografia e tonalità di colore. Ottima anche l'edizione realizzata da Panini Comics e curata da Simon Bisi, a cui riesce anche una perfetta chiusura del primo numero. Sebbene "La neve se ne frega" sia inquadrabile come graphic novel e sia dunque più godibile se letta in un colpo solo, anche nella serializzazione il finale della prima uscita (sulle tre previste) mantiene alta la tensione e fa restare in trepidante attesa del numero successivo.

Come avevo già accennato qualche settimana orsono, ho avuto anche la fortuna di assistere alla presentazione della serie, svolta durante Mantova Comics 2008, in cui ho scattato anche la fotografia più in basso. Un evento davvero ben riuscito e interessante, premiato da un bagno di folla, che ha mostrato il solito Ligabue disponibile e "umano" e ha dato il giusto battesimo a un'operazione che va al di là del semplice adattamento, ma riesce a essere al tempo stesso un'interessante evento mediatico / multimediale e un'opera di arte sequenziale ben riuscita.

Ligabue e Camuncoli a Mantova Comics 2008

giovedì 27 marzo 2008

Buffy contre les Vampires 08x01

Parlo raramente di lavoro su questo blog. E' già una parte predominante della mia vita, dato che mi permette di unire a un'interessante attività professionale anche la mia passione per i fumetti e il mondo dell'editoria. Dunque... passando già tutto il giorno in mezzo ai fumetti... sul mio "diario on line" preferisco parlare del resto. Però ogni tanto faccio qualche eccezione. Specialmente quando la "soddisfazione nerdica" supera il livello di controllo. Ecco arrivata una di queste occasioni, dato che alle mie attività quotidiane in redazione e ai "progetti speciali" che ho curato in maniera più approfondita anche a livello di editing, si è aggiunta un'altra chicca. Una produzione di cui sono davvero orgoglioso, anche perchè legata a doppio filo a un altro dei miei più grandi piaceri.

Proprio ieri, infatti, ho completato l'editing per l'edizione francese del nuovo fumetto dedicato a "Buffy the vampire slayer". Il serial di Joss Whedon è probabilmente la mia serie televisiva preferita. L'ho vista interamente 2 volte e qualche tempo fa stavo addirittura iniziando la terza visione, tanto da creare Dal sottosuolo divora, un blog interamente dedicato alla Prescelta. Poi non sono riuscito nel mio intento, ma il mio interesse non è mai scemato. Anche perchè il geniale Whedon, una volta terminata l'avventura televisiva con la settima stagione, ha ben pensato di continuare la storia in una ottava serie, realizzata esclusivamente a fumetti. Quando mi hanno confermato che avevamo acquistato i diritti di Season 8 della Dark Horse, quasi non riuscivo a crederci. E mi sono subito accaparrato (aka: ho miseramente mendicato) l'editing del progetto, partendo dal primo volume "The long way home", che raccoglie i primi 5 episodi. Lavorare su "Buffy contre les Vampires - Saison 8, volume 1 - Un long retour au bercail" mi ha dato fantastiche sensazioni. Mi sono divertito e la soddisfazione è stata tanta. Merito di Jerome, l'ottimo traduttore, anche lui Buffy addicted e preparatissimo sull'argomento, tanto da riuscire a comprimere in maniera efficace un riassunto delle sette serie precedenti in 6000 battute. Un mezzo miracolo. Ma merito anche... come al solito... del clima estremamente creativo e propositivo che si respira in ufficio e nel nuovo rapporto di collaborazione con Soleil per la partnership Fusion. Ora spero che il libro finito sia come me lo immagino, anzi... anche meglio!

Il primo tomo della collezione uscirà in Francia a Giugno in prestigioso formato cartonato e sembra proprio che potremmo anche realizzarne una variant con "photo cover". OK Matteo... non ti emozionare... in fondo sarà solo una foto di Sarah Michelle Gellar, mica lei in carne e ossa...

Fumetti: Buffy the vampire slayer

sabato 15 marzo 2008

Una libellula nello spazio

Credevo che ormai il genere western fosse stato esplorato in tutte le sue sfaccettature. Le prime colossali pellicole, in cui gli indiani erano i cattivi e la cavalleria arrivava sempre a salvare la situazione. Affascinanti, ma poco credibili. Di seguito gli "spaghetti western", più sporchi, polverosi, in cui il confine fra bene e male è molto labile. In una parola, più realistici. Infine l'ultima ondata di film del genere, in cui le verità storiche vengono ristabilite e viene condannata la strage perpretata dai "visi pallidi". E mi ero convinto di aver visto tutto, a parte qualche possibile variazione sul tema. Poi mi sono imbattuto in "Firefly", un serial TV che non ho paura di definire uno "space western". Si tratta proprio di una serie in cui le atmosfere western si fondono a elementi fantascientifici. Nel corso della stessa puntata, insomma, ci si trova a viaggiare fra le stelle e poi coinvolti in una sparatoria in un saloon, cavalcando prima le tempeste spaziali a bordo di un'astronave e poi scalpitanti cavalli in mezzo alla sabbia.

Così come era per il western, anche questa storia è ambientata su una nuova frontiera: la terra di conquista non è più il west america, ma lo spazio. Il presupposto è intrigante. La popolazione terreste era aumentata a dismisura e il suo sviluppo non era più sostenibile per la Terra. Così, grazie al progidioso progresso scientifico, la razza umana si lanciò alla volta delle profondità siderale, scoprendo un nuovo sistema solare. Numerosi pianeti e lune vennero "terraformati" e i nuovi coloni vi si stabilirono. Le ricche zone centrali sfruttarono le loro conoscenza per erigere città moderne e confortevoli. Quelle ai bordi del sistema non usufruirono di grandi mezzi tecnologici e svilupparono società sul modello di quello del vecchio west. Poi i pianeti centrali formarono l'Alleanza e provarono a imporre con la forza il loro controllo su tutto il sistema. I satelliti i che non si arresero subito, vennero schiacciati e conquistati durante la grande guerra.

Il sergente Malcom Raynolds (interpretato da Nathan Fillion) è uno dei reduci di questa guerra e ancora non si rassegna ad averla persa. Farebbe di tutto pur di non ammettere la sconfitta e arrendersi all'Alleanza, perciò ha deciso di vivere ai margini della società per non integrarsi al nuovo ordine e non soccombere alle regole imposte con la violenza. A bordo della Serenity, la sua nave da trasporto classe Firefly, viaggia ai confini dello spazio vivendo di contrabbando e lavori ai limiti della legalità. Ad accompagnarlo, un equipaggio variegato e rumoroso, formato dalla bella e letale Zoe (compagna d'armi del capitano), da suo marito nonchè pilota della nave Wash (Alan Tudyk), dalla deleziosa meccanico Kaylee (Jewel Staite), dal mercenario Jayne (Adam Baldwin) e dall'accompagnatrice Inara (Morena Baccarin). Nel corso del loro viaggio ribelle, verranno affiancati anche dal pastore Book e dal dottor Simon, che trasporta con se di nascosto anche la sua enigmatica sorellina River (la splendida Summer Glau, rivista di recente anche nel nuovo serial di Terminator).

Serial TV: Firefly

E' proprio River il fulcro attorno a cui si sviluppa la storia. La teen-ager mostra seri segni di squilibrio, ma sembra anche dotata di capacità davvero speciali. La sua mente è stata sconvolta dagli esperimenti compiuti su di lei dall'Alleanza, mentre era loro prigioniera. E sembra proprio che il governo centrale sia disposto a tutto pur di catturarla nuovamente. Per tornare a controllare i suoi poteri e... per impedire che possa far conoscere alla razza umana le verità sconvolgenti che, grazie alle sue facoltà psichiche, ha letto nella mente dei suoi aguzzini.

"Firefly" è stata creata e scritta dal grande Joss Whedon (il "padre" di "Buffy", una delle mie più grandi passioni in fatto di entertainment), capace di infondere un'anima ai suoi personaggi. Non i soliti caratteri stereotipati, ma figure caratterizzate in maniera unica e fuori dagli schemi. Una famiglia "politicamente scorretta", che ha eletto un'astronave polverosa e malconcia come propria casa e i cui componenti sono fra loro quanto di più diverso si possa immaginare. Una miscela frizzante che permette a Whedon di sbizzarrisi nei dialoghi e nelle situazioni, alternando momenti altamente drammatici a scene ricche di ironia e divertimento. Senza mai dimenticare l'azione e la possibilità di muoversi in uno scenario così inusuale, dando sfogo anche alla sua passione per l'idea di "arma definitiva" incarnata in una giovane adolescente, che nasconde molto più di quello che sembra.

Purtroppo la serie negli States è stata martoriata da una programmazione sfortunata e piena di scelte sbagliate, che ne ha decretato la fine dopo soli 15 episodi. Ma l'affetto e la tenacia dei fan, oltre che le qualità di Whedon, hanno fatto in modo che almeno la trama principale potesse trovare la sua conclusione nel film per il grande schermo intitolato "Serenity ". Questa pellicola può vedersi come la puntata finale della serie TV e, pur contento della qualità del prodotto e per essere riuscito almeno a assistere alla fine della storia, resta comunque il rammarico per questa conclusione accellerata e innaturale, in cui purtroppo sono andati persi lo sviluppo dei personaggi e delle loro relazioni col resto del sistema, alcuni degli elementi più affascinanti e particolari della saga.

Chiudo questo post dedicato alla serie con una vera "chiccha" che ho scovato in rete. Lo dico subito: si tratta un video assolutamente sconsigliato a chi è facilmente impressionabile. Un ansiogeno estratto dai contenuti extra della serie in formato DVD, in cui ci viene mostrata una serie di sessioni di incontri fra River e il suo psichiatra, mentre la fuggitiva era ancora prigioniera dell'Alleanza. Un viaggio nella sua psiche devastata e nel suo percorso verso la follia.

giovedì 13 marzo 2008

Mai dimenticare. Mai perdonare.

"Oh no, è un musical". Ecco cosa ho pensato ieri sera, quando è iniziato il film. Siamo entrati con leggero ritardo, quando le luci erano già basse e il lungometraggio stava ormai per iniziare Quando serve, mai che ci sia un pò di pubblicità. Ci siamo sparpargliati per la sala, senza curarci dei posti che avevamo prenotato. Dunque mi sono seduto e... "Oh no, è un musical". Per un attimo mi sono anche illuso: "Che idea geniale, far cantare agli attori una sorta di sigla d'apertura". Poi mi sono dovuto rassegnare. Ebbene si, "Sweeney Todd" è un musical e se deciderai di andarlo a vedere, non venirmi a dire che non ti avevo avvertito! Perchè invece il mio manager Alessio ha simpaticamente omesso questo particolare, quando mi ha proposto l'idea, sebbene lo sapesse benissimo. I fatti sono due: o è un grande stratega, o inizia a conoscermi troppo bene. O magari entrambe le cose. Avessi saputo che si trattava di un musical, infatti, avrei quasi sicuramente declinato l'invito. E mi sarei perso proprio un bel film.

"
Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street" è la versione cinematografica dell'omonimo musical creato dall'immenso Stephen Sondheim. Non ho mai visto l'opera originale, ma il film può ranquillamente considerarsi l'ennesimo capolavoro firmato da Tim Burton, nel suo tipico stile e insieme al suo "attore feticcio" Johnny Depp, capace nell'occasione di riproporsi come uno dei migliori attori in circolazione e di mostrare anche ottime doti canore. Le canzoni sono belle, danno qualcosa di diverso ai personaggi e alle vicende. In generale anche tutti gli attori riescono a interpretarle bene. La storia è una rivisitazione sul tema de "Il conte di Montecristo" e narra la triste vicenda di Benjamin Barker, un uomo che aveva trovato la felicità. Il desiderio lussurioso di un potente nei confronti della sua amata gli tolse tutto e lo portò in catene lontano da casa. Ma riuscirà a tornare dal suo esilio e andrà in cerca di vendetta. E, facendosi conoscere col nome di Sweeney Todd , metterà in atto la sua ricerca di giustizia attraverso la violenza estrema, che lo porterà a macchiarsi di orribili e ingiustificabili massacri, sino a una tragica fine.

Il vero protagonista della pellicola in realtà è il male. Il male allo stato puro. Il male assoluto. Il male che... come la nebbia di Londra... si insinua nelle strade, nelle botteghe, nelle case. Nei quartieri malfamati, così come in quelli altolocati. Il male che nutre se stesso. Il male che nasce fra le paure e gli istinti primordiali dell'essere umano. Il male che trae energia dalla violenza, dall'inganno, dalla prepotenza, dall'ingiustizia, dalla povertà e dalla fame. Il male che probabilmente non può essere sconfitto. Il male che è dentro di noi.

Tim Burton costruisce il mondo gotico e grottesco, che ormai è suo "marchio di fabbrica", proprio attorno a tutto questo male. Lo esaspera e lo visualizza, in una città buia, sporca e puzzolente. Una Londra su cui non batte più il sole e in cui tutto è avvolto da una cappa di polveri, fuligine e smog. Un'immensa oscurità, su cui spicca prepotentemente solo il colore aspro del sangue che scorre. Le scene di flashback e un paio di digressioni oniriche hanno luci calde e colori accesi. Il resto è grigiume e sangue. E lo stacco è a tratti quasi fastidioso. Non solo per l'impatto visivo, ma perchè ci mostra la raggiante bellezza del passato a confronto con la deprimente tristezza del presente. E se l'occhio umano riesce ad adattarsi velocemente alle mutate condizioni di luce, la mente non sempre ce la fa a sostenere il peso di una tale perdita.

domenica 9 marzo 2008

2008: Adesso!

Ieri sera al Branca i Casino Royale hanno offerto l'ennesima grande prova.

Li considero una delle migliori band italiane contemporanee. Ho assistito a una loro esibizione per la prima volta nel 1995 e da allora li ho sempre seguiti con attenzione e affetto, fra performance live, dischi, apparizioni in TV, presentazioni radiofoniche e anche fugaci frequentazioni personali. Merito del comune amico Francesco, che mi ha sempre tenuto aggiornato sugli sviluppi e le alterne vicende di questo progetto interessante e multisfaccettato. Le sue vicende personali sono state così fortemente caratterizzate dalla musica e dalla vita del gruppo da portarlo a scrivere "E di sorpresa abbiamo 40 anni", un libro molto intenso e personale, dedicato proprio a questa sorta di "destino incrociato". Merito anche di mio fratello Marco, che ha collaborato con alcune delle loro tante incarnazioni e sembra proprio sul punto di tornare a farlo. Specialmente considerata la particolare impronta con cui hanno deciso di caratterizzare i loro ultimi concerti.

Il gruppo, infatti, sta portando in scena un arrangiamento in chiave reggae (anzi, "rocker reggae") di alcuni pezzi tratti dall'album più recente, intitolato "Reale", e dei loro "classici" che meglio si prestano a determinate sonorità. Sul palco la band sembra soddisfatta e divertita da questa opportunità, interpreta tutti i brani con calore e trasporto, comunicando al pubblico le giuste sensazioni. Il lavoro di "adattamento" è riuscito alla perfezione e ogni canzone suona benissimo, come se fosse stata scritta e composta per trovare questo apposito sbocco. Questi "remix reggae" dimostrano grande amore per il genere e arricchiscono le versioni originali, senza tradirne lo spirito, ma offrendocene un punto di vista diverso. Tutto è fatto con molta cura, stile e passione, che sprizzano dallo stage e contagiano il pubblico. Il risultato finale è uno spettacolo denso e appagante, un concerto in cui ci si fa rapire dalla vibrazione e da cui si esce decisamente soddisfatti, per la qualità della performance e l'efficacia del materiale proposto. Quella che è stata ufficialmente battezzata come la "Royale'sRockersReggaeSession" farà tappa live in un altro paio di città, poi... a quel che ho capito... sarà anche registrata in studio e offrirà a tutti la possibilità di ascoltare su CD questa rivisitazione di alcune fra più belle canzoni italiane dei nostri tempi.

Anche questa volta i Casino Royale dimostrano di non arrestare la loro evoluzione. Sono sempre capaci di reinventarsi e rinascere, senza mai aver paura di sperimentare e di rimettersi in gioco. Guardandosi continuamente attorno e recependo stimoli da quello che li circonda, ma senza mai dimenticarsi di dare ogni tanto uno sguardo anche al loro passato, decisamente "targato ska". Per poi tirar fuori, in maniera assolutamente naturale e fluida, qualcosa di completamente nuovo, sensazioni e suoni che ancora una volta sono capaci di far stare bene chi li ascolta. Proprio come è accaduto ieri. Davvero un grande live, perfetto per chi vuole ascoltare bella musica e ballare. Per quel che mi riguarda, insomma, questa nuova idea è promossa in pieno. E adesso non resta solo che attendere l'uscita del disco e sperare in un successivo tour estivo, per godere di nuovo dell'inconfondibile "Royale sound" in versione "giallo, rossa e verde".



PS: era parecchio tempo che non facevo un salto a Roma, ma credo di aver scelto la serata giusta per tornarci. Sono stato davvero soddisfatto dall'atmosfera che si respirava nel club capitolino, sebbene sia sempre strano ricordare come sia cambiato da quando lo frequentavo le prime volte... un centro sociale di due stanze, senza nemmeno il patio all'esterno... mentre ora è un locale di tutto punto. Ma in fondo l'importante è che dia sempre spazio a eventi come questo e che io continui a sentirmi a mio agio ogni volta che ci torno. Per quanto le cose siano diverse e per quanto passino gli anni... in quelle sale cariche di suono e ricordi riesco ancora a fare anche piacevoli incontri, neppure tanto inattesi...

mercoledì 5 marzo 2008

Illumina l'oscurità



Ormai mi ci sono abituato. Chiunque veda un film tratto da un romanzo, puntualmente dice sempre la stessa cosa "Era meglio il libro". Eppure a me sembra così palese... si tratta di due media diversi, che coinvolgono il lettore / spettatore in maniera differente, stimolando aspetti alternativi della nostra mente. Un libro suggerisce, un film mostra. Leggendo una storia, ciascuno di noi non può immaginare le ambientazioni e i personaggi nella stessa maniera. Per quanto le descrizioni a parole dell'autore possano essere dettagliate e precise, ognuno le visualizza e le filtra a seconda della propria sensibilità. Un film, invece, mostra in maniera più netta e definita, anche quando si limita solo a suggerire determinati elementi. E' la squadra che crea una pellicola... dal responsabile del casting al regista, passando per i produttori e il direttore della fotografia... a offrirci la propria interpretazione. Può piacere o meno rispetto a quello che ci si era immaginati, ma è qualcosa di diverso. Sebbene il punto di partenza sia il medesimo. Anche perchè di solito la storia deve essere leggermente manipolata, tagliata e rimontata per soddisfare le esigenza e i tempi di un altro mezzo di comunicazione, che tocca corde differenti dell'animo umano. E che, in fondo, riesce a far convivere nello stesso momento tante forme di comunicazione. Le cose più importanti che ci sono in un libro, ovvero la storia e come questa viene raccontata, infatti, vengono completate e arricchite. Dalle immagini e dalla musica. Dall'intepretazione degli attori e dalla guida del regista. Dall'umanità, dalle idee, dalla luce e dal suono che impregnano la pellicola.

Da cosa nasce questa lunga introduzione? Naturalmente dall'ultimo film ispirato a un libro che ho visto.

Ho letto "Io sono leggenda" di Richard Matheson molti anni fa, quando stavo iniziando ad appassionarmi alla letteratura fantascientifica e avevo deciso di leggere tutti i classici del genere. Mi era piaciuto tantissimo, sebbene mi avesse trasmesso un senso di ansia estrema. Pochi giorni fa, poi, ho visto "Io sono leggenda", il recente film diretto da Francis Lawrence che prende spunto dall'omonimo libro. Il media è un altro, le differenze nel trattamento dei personaggi e della vicenda sono tante. Ma il senso di ansia è rimasto lo stesso. Dunque l'adattamento, almeno per quanto mi riguarda, è perfettamente riuscito. A dir il vero si tratta del terzo lungometraggio che prende spunto dallo splendido romanzo originale, ma credo che questa sia la versione più riuscita e emozionante, la più viva e vera, anche grazie ai mezzi messi attualmente a disposizione dalla computer grafica.

La storia narra le vicende del dottor Robert Neville, ultimo superstiste della specie umana. Tutti i suoi simili sono stati trasformati in esseri mostruori, da un virus creato e scatenato proprio dall'uomo. Antropofagi che temono la luce del sole. Un branco selvaggio e sanguinario che ha estinto la nostra razza. Robert Neville è solo. Ed è questo il fulcro del film. Non la sua lotta per la sopravvivenza. Non la sua esplorazione della nostra civiltà in rovina. Il cuore del film è la sua solitudine. La sua ricerca di altri come lui. La sua necessità di comunicare, di confrontarsi, di tornare ad essere un uomo, vivendo la sua esistenza insieme ai propri simili. E questa solitudine esce prepotentemente dallo schermo, attanaglia lo spettatore, gli stringe il fegato ed il cuore. Lo porta a pensare alla propria vita e alle persone con cui prova a condividerla. Perchè una vita completamente solitaria non è vita. Essendo soli non si diventa improvvisamente i re del creato. Si diventa solo padroni di un mondo morto e sterile, che non ha nulla da offrire. Anche se il sole continua a splendere in cielo e la natura continua a prosperare. Anche se non esistono più leggi da rispettare o vincoli con cui fare i conti. Si è soli. Punto e basta. Non si vive, si esiste. Robert Neville prova ancora a cercare uno scopo, ma si sta semplicemente illudendo. Ed arriva quasi al punto di arrendersi, di cedere, di crollare schiacciato da questo peso insostenibile.

A un certo punto il libro e il film prendono strade diverse. Il libro focalizza maggiormente la sua attenzione sulla figura del mostro, ribaltando il punto di vista. In un mondo in cui Robert Neville è rimasto l'unico essere umano, infatti, ormai è lui il mostro. Il diverso. E si adatta a questo nuovo ruolo, compiendo in qualche maniera azioni "mostruose", per quelle che sono le nuove regole della specie dominante sul pianeta. Nel film, invece, è proprio la solitudine al centro dell'attenzione. E la pellicola trova il suo senso e la sua svolta proprio attorno a questo elemento. Nel libro Neville è leggenda per i "mostri". E' il loro "uomo nero". Nel film il suo essere leggenda assume un significato completamente diverso. E non aggiungo altro in merito, perchè la pellicola merita assolutamente di essere vista e vissuta, lasciandosi trasportare verso un finale diverso e pieno di emozioni. Chi si aspetta l'happy end... capace di accontetare le masse... resterà sicuramente sorpreso. Tutti gli altri resteranno estasiati.

Il protagonista di questa versione è impersonato da Will Smith, capace di un'interpretazione davvero sentita e emozionante, che ne mostra le grandi qualità al di là delle sue precedenti "prove block-buster" e del suo essere sempre e comunque "di botteghino". Un grande attore, molto "fisico" e al tempo stesso comunicativo, che potrebbe presto diventare il nuovo Denzel Washington. Il trattamento cinematografico, specialmente nella gestione di alcuni elementi presenti nel finale, ha imparato alla perfezione la lezione della cinematografia di M. Night Shyamalan. Gli effetti speciali si adattano alle esigenze della sceneggiatura e sono capaci di ricostruire in maniera credibile ambienti apocalittici e "cattivi" credibili e "vivi". Eccezionale e fondamentale anche la colonna sonora, che ha la sua spina dorsale nella musica e nella filosofia dell'immortale Bob Marley.

Purtroppo ho perso l'uscita del film in sala e sono stato costretto a recuperarlo solo adesso in formato digitale. Vederlo sul grande schermo probabilmente mi avrebbe comunicato sensazioni ancora più intense, ma anche averne fruito sul piccolo schermo del mio PC mi ha regalato le stesse grandissime emozioni. Se non l'hai ancora visto, ti consiglio caldamente di recuperarlo al più presto. Diventerà leggenda anche per te.


 

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