"Oh no, è un musical". Ecco cosa ho pensato ieri sera, quando è iniziato il film. Siamo entrati con leggero ritardo, quando le luci erano già basse e il lungometraggio stava ormai per iniziare Quando serve, mai che ci sia un pò di pubblicità. Ci siamo sparpargliati per la sala, senza curarci dei posti che avevamo prenotato. Dunque mi sono seduto e... "Oh no, è un musical". Per un attimo mi sono anche illuso: "Che idea geniale, far cantare agli attori una sorta di sigla d'apertura". Poi mi sono dovuto rassegnare. Ebbene si, "Sweeney Todd" è un musical e se deciderai di andarlo a vedere, non venirmi a dire che non ti avevo avvertito! Perchè invece il mio manager Alessio ha simpaticamente omesso questo particolare, quando mi ha proposto l'idea, sebbene lo sapesse benissimo. I fatti sono due: o è un grande stratega, o inizia a conoscermi troppo bene. O magari entrambe le cose. Avessi saputo che si trattava di un musical, infatti, avrei quasi sicuramente declinato l'invito. E mi sarei perso proprio un bel film.
"Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street" è la versione cinematografica dell'omonimo musical creato dall'immenso Stephen Sondheim. Non ho mai visto l'opera originale, ma il film può ranquillamente considerarsi l'ennesimo capolavoro firmato da Tim Burton, nel suo tipico stile e insieme al suo "attore feticcio" Johnny Depp, capace nell'occasione di riproporsi come uno dei migliori attori in circolazione e di mostrare anche ottime doti canore. Le canzoni sono belle, danno qualcosa di diverso ai personaggi e alle vicende. In generale anche tutti gli attori riescono a interpretarle bene. La storia è una rivisitazione sul tema de "Il conte di Montecristo" e narra la triste vicenda di Benjamin Barker, un uomo che aveva trovato la felicità. Il desiderio lussurioso di un potente nei confronti della sua amata gli tolse tutto e lo portò in catene lontano da casa. Ma riuscirà a tornare dal suo esilio e andrà in cerca di vendetta. E, facendosi conoscere col nome di Sweeney Todd , metterà in atto la sua ricerca di giustizia attraverso la violenza estrema, che lo porterà a macchiarsi di orribili e ingiustificabili massacri, sino a una tragica fine.
Il vero protagonista della pellicola in realtà è il male. Il male allo stato puro. Il male assoluto. Il male che... come la nebbia di Londra... si insinua nelle strade, nelle botteghe, nelle case. Nei quartieri malfamati, così come in quelli altolocati. Il male che nutre se stesso. Il male che nasce fra le paure e gli istinti primordiali dell'essere umano. Il male che trae energia dalla violenza, dall'inganno, dalla prepotenza, dall'ingiustizia, dalla povertà e dalla fame. Il male che probabilmente non può essere sconfitto. Il male che è dentro di noi.
Tim Burton costruisce il mondo gotico e grottesco, che ormai è suo "marchio di fabbrica", proprio attorno a tutto questo male. Lo esaspera e lo visualizza, in una città buia, sporca e puzzolente. Una Londra su cui non batte più il sole e in cui tutto è avvolto da una cappa di polveri, fuligine e smog. Un'immensa oscurità, su cui spicca prepotentemente solo il colore aspro del sangue che scorre. Le scene di flashback e un paio di digressioni oniriche hanno luci calde e colori accesi. Il resto è grigiume e sangue. E lo stacco è a tratti quasi fastidioso. Non solo per l'impatto visivo, ma perchè ci mostra la raggiante bellezza del passato a confronto con la deprimente tristezza del presente. E se l'occhio umano riesce ad adattarsi velocemente alle mutate condizioni di luce, la mente non sempre ce la fa a sostenere il peso di una tale perdita.
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