domenica 18 ottobre 2009

Ricky, le ali della libertà

Da qualche tempo vado al cinema solo per vedere sul grande schermo film in cui l'aspetto spettacolare e "visivo" è importante, a volte anche predominante, per godere al meglio dei loro particolari e di tutto ciò che hanno da offrire a livello di "impatto immediato". Le pellicole "intimiste" o in cui, quantomeno, gli effetti speciali non la fanno da padroni, aspetto di vederle comodamente a casa in formato DVD, perché la visione su piccolo schermo non ne limita le potenzialità. Quello che manca, in queste visioni private, però, è il commento "a caldo" con i "compagni di viaggio", quello fatto a film appena terminato. Di fronte ai film "blockbuster" di solito la discussione si concentra su determinate scene o passaggi, mentre i film in cui è la trama ad essere fondamentale la riflessione si fa più articolata e talvolta senza particolari "sicurezze", con diverse intepretazioni a confronto.





La storia si è ripetuta anche pochi giorni fa, quando sono andato a vedere "Ricky - Una storia d'amore e libertà" insieme ad un gruppo di amiche. Il film mi ha incuriosito subito, sin da quando me ne è stata raccontato velocemente lo spunto, e la sua natura "minimalista" tendenzialmente mi avrebbe portato ad attendere che fosse disponibile in digitale, ma sono contento di aver fatto "uno strappo alla regola" e di essere andato a vederlo in gruppo, anche per l'immediato "dibattito" che è scaturito attorno alla natura della storia ed al suo significato.


Senza anticipare nulla rispetto a quanto non si veda già nei trailer ufficiali, al centro della vicenda, ambientata nella periferia parigina, c'è la vita di una donna, splendidamente interpretata da Alexandra Lamy. Katie, operaia in una fabbrica di prodotti chimici, donna insoddisfatta, madre single, vive in un bilocale con una figlia cresciuta troppo in fretta e già più matura di lei. Nel mezzo di una vita grigia, opprimente e sempre uguale a sé stessa, incontra di nuovo l'amore e dà alla luce un bimbo che si rivelerà subito decisamente particolare. A pochi mesi dalla nascita, infatti, al piccolo Ricky spunteranno le ali. Fra sospetti, problematiche dinamiche di coppia, necessità di cambiare abitudini, spezzoni che strappano un sorriso, altri che risultano decisamente amari, scene surreali e momenti di vita quotidiani... la storia cresce e si sviluppa sino a quella che potrebbe sembrare la sua naturale conclusione. Se non fosse per l'introduzione. Perché alla fine del film non si può che tornare con la mente ai suoi minuti iniziali, un flash forward che ci mostra come sarà la vita della protagonisti pochi mesi dopo la fine della pellicola. E improvvisamente rimette tutto in gioco.





Personalmente ritengo che la storia raccontata sia solo una fantasia, che nasce e si sviluppa nella mente di Katie. Anche perché, quando all'inizio parla dei suoi figli, dice di averne solo due e non tre, come se Ricky non esistesse. La storia cui assistiamo è tutta frutto della sua immaginazione e succede soltanto nella sua testa. In realtà lei non ha mai messo al mondo Ricky. Il bambino con le ali non esiste, è un simbolo. Una rappresentazione allegorica della libertà, uno strumento per staccarsi dal suolo e liberarsi da tutte le ansie del vivere quotidiano che tengono incatenate le nostre anime al terreno. Katie è una donna decisamente depressa, stanca di vivere, della routine, di doversi confrontare da sola contro un mondo che le mostra solo il suo volto più ostile. Dunque immagina...e rende "reale" per gli spettatori... un nuovo amore travolgente, un nuovo compagno, una nuova famiglia, una nuova vita... un bambino con le ali che possa levarsi in aria e sorvolare tutto il grigiore di questa esistenza. Alla fine del film la vediamo nuovamente in attesa di un figlio... e forse solo per la prima volta "realmente"... che nella vita vera, però, non sarà una promessa di speranza come nelle sue fantasia.


I momenti di "stacco" dalla realtà secondo me sono individuabili. L'inizio del suo "sogno" parte al momento del suo svenimento nella fabbrica in cui lavora, subito dopo aver conosciuto Paco (Sergi Lopez), il suo nuovo amante. La perdita di conoscenza della protagonista sembra proprio un "atto d'accusa" alle scarse condizioni di sicurezza sul lavoro, ma potrebbe essere anche il momento di passaggio fra realtà e fantasia. La conclusione di questo mondo onirico e surreale, invece, secondo me arriva poco prima del finale, quando Katie... dopo aver tentato il suicidio... si stringerà a Paco ed alla figlia Lisa in uno struggente abbraccio e... le mani dei due adulti, poggiate sulla schiena della bimba, andranno a formare un paio di simboliche ali.


Elucubrazioni sul suo significato e sulla sua interpretazione a parte, il film diretto da Francois Ozon si è rivelato intenso ed interessante, una storia apparentemente lineare e scorrevole, nel suo essere surreale e "sopra le righe", in cui il regista analizza la realtà delle periferie e la condizione femminile attraverso un'ottica deformante e molto personale. Pur non trattandosi di una pellicola basata sugli effetti speciali, la realizzazione delle ali di Ricky è assolutamente credibile e verosimile, ma non ci si poteva attendere nulla di diverso dallo studio che le ha curate, la stessa BUF di Matrix, Spider-Man e Il cavaliere oscuro. Apprezzabili anche la fotografia, la scelta delle inquadrature ed i movimenti di camera, sempre tesi ad "aiutare" la narrazione senza prevaricarla, dando vita a un "sogno su pellicola", in cui calarsi a pieno per volare sulle ali della libertà e della fantasia.


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